Gazzetta dello Sport – Intervista di Davide Amato

Di seguito riporto l’intervista rilasciata a Davide Amato per la Gazzetta dello Sport dopo l’epica impresa di Sonny Colbrelli all’ultima Parigi – Roubaix.

“Sonny è una persona splendida, una di quelle che si impegnano al 100% e ancora di più”. Parola di Paola Pagani, mental coach del vincitore della Parigi-Roubaix. “Abbiamo iniziato a lavorare insieme nel 2019”.

Che percorso ha fatto con Colbrelli?

“Come mental coach aiuto le persone che si rivolgono a me a scoprire il potenziale che hanno a disposizione. Sonny ha sicuramente avuto un’ottima carriera anche prima che ci incontrassimo. Ma non era ancora del tutto consapevole del campione che era. Abbiamo fatto un lavoro di rimozione di spazzatura a livello di pensieri, emozioni e mindset: questo ha permesso a Sonny di tirare fuori chi è davvero”.

Come ha preparato Colbrelli alla Parigi-Roubaix, era convinto di arrivare fino in fondo?

“Non era così consapevole. Anche perché, come da opinione di tutti coloro che fanno parte del mondo del ciclismo, è una gara che premia l’esperienza. Lui non l’aveva, era il suo esordio nella competizione. Perciò l’ho invitato a fare un esercizio di visualizzazione mentale della gara. Era lì da qualche giorno. Aveva visto i tratti di pavé ed era in contatto con il percorso”.

Quindi?

“Gli ho chiesto di vedere quello che si vedrebbe nel momento in cui si corre la gara: la propria bicicletta, le mani sul manubrio, le ruote che girano, il terreno, il pavé, gli altri ciclisti, il pubblico, gli alberi, il cielo. Provare a vedere tutto quello che si vedrebbe effettivamente. Ascoltare le voci, i suoni ed i rumori che si sentirebbero se si facesse la gara. E provare, questo è fondamentale, l’emozione e le sensazioni che hai quando compi quella performance”.

Quale è il beneficio di tutto ciò?

“È un esercizio di allenamento mentale: è come se mettessi in trappola la mente, che, non sapendo distinguere tra un’esperienze realmente vissuta ed una vividamente immaginata, crede tu stia facendo realmente quell’esperienza. Lui si è creato una Parigi-Roubaix che, seppure virtuale, la sua mente potesse accettare come reale”.

Il resto è storia…

“Il giorno dopo, quando si è trovato a correre la gara, questo esercizio gli è stato d’aiuto. E poi, adesso, ha una forza mentale da fare paura. Ha tirato fuori tutta la sua grinta, il coraggio e l’ audacia”.

Lei ha seguito la gara?
“Certo, dal primo all’ultimo chilometro, anche se non ero fisicamente lì. Ero attaccata all’Ipad. Avevo gli occhi fuori dalle orbite”.

Quanto è importante il lavoro del mental coach in uno sport come il ciclismo?

“Fondamentale, anche perché ci sono tanti giovani campioni che fanno fatica a trovare lo spazio per crescere ed emergere. Passano professionisti ma poi non vanno subito benissimo: lì è facile perdere la motivazione, la forza e la voglia di far fatica ed allenarsi. La mente serve, è un elemento fondamentale, ma non basta. Dietro il ciclismo ci sono tanta fatica ed ore e ore d’allenamento. È fondamentale mantenere sempre la giusta attenzione, focus, grinta, positività: tutto quello che serve per fare queste performance”.